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A 10 anni dal Compasso d’Oro, una chiacchierata con Marc Sadler

01/09/2021
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Mite è la lampada che ha segnato l’inizio dell’ormai storica collaborazione tra Foscarini e Marc Sadler: un progetto che sovverte gli schemi assecondando quelli che il designer definisce “picchi di irragionevolezza”, l’attitudine che permette di esplorare tutte le potenzialità di un materiale e di una tecnologia.

Nel 2001 Mite è stata premiata con il Compasso d’Oro ADI, il più autorevole premio mondiale di design, insieme alla versione da sospensione Tite. Sono trascorsi vent’anni da allora, e riteniamo che questo evento, come il carattere iconico e senza tempo di Mite, meriti una celebrazione adeguata. Nasce così Mite Anniversario, che fa evolvere il concetto originale di Mite attraverso ulteriori sperimentazioni e variazioni. In questa importante occasione abbiamo intervistato Marc Sadler e fatto un’interessante chiacchierata su Mite, Tite e sul design legato all’illuminazione.

 

COME È INIZIATA LA COLLABORAZIONE CON FOSCARINI PER LA LAMPADA MITE?

MS — “Ho conosciuto Foscarini in un periodo in cui abitavo a Venezia e Mite è stato il primo progetto sviluppato insieme. Per me Foscarini era una piccola azienda che faceva vetro ed era una realtà lontana da ciò che facevo io. Un giorno, per caso su un vaporetto, ho conosciuto uno dei soci. Parlando del nostro lavoro e di ciò che facevamo, mi riferì di un tema sul quale stavano riflettendo. Mi chiese di pensare a un progetto che avesse il sapore incerto del vetro – quell’aspetto artigianale che è impossibile da controllare e che fa sì che ogni oggetto abbia la sua personalità – ma che si potesse produrre industrialmente, con una visione più integrata. Ci siamo lasciati salutandoci, promettendogli di pensarci.”

 

QUAL È STATA L’IDEA PRINCIPALE CHE HA DATO IL VIA A QUESTO PROGETTO?

MS — “Stavo andando a Taiwan per un progetto di racchette da tennis e di mazze da golf per un’azienda che lavorava la fibra di vetro e la fibra di carbonio. Quello è un mondo per cui i prodotti hanno grandi numeri, non pochi esemplari. La racchetta, quando la si produce, quando esce dagli stampi, è bellissima; poi le persone che la lavorano cominciano a pulirla, a rifinirla, a verniciarla, a ricoprirla di vari elementi grafici e così pian piano perde parte del fascino della fase produttiva. Alla fine hai un oggetto che è carico di segni che nascondono la vera struttura e il prodotto finale risulta per me sempre meno interessante del prodotto nella fase iniziale. Per il mio lavoro di progettista preferisco il prodotto allo stato grezzo, a monte delle finiture, quando è ancora un oggetto “mitico”, bellissimo, perché la materia vibra. Proprio guardando questi pezzi in controluce si vedevano le fibre, e ho notato come la luce trapassava la materia. Mi sono preso un po’ di questi campioni e li ho portati a Venezia. Appena tornato ho chiamato Foscarini e ho detto loro che stavo pensando ad un modo di usare questo materiale. Anche se la fibra di vetro, fatta di pezze di materiale ha dei limiti nelle sue incertezze di lavorazione, io pensavo a un oggetto da produrre industrialmente. Proporlo a loro era un po’ un azzardo perché ci volevano grosse quantità di produzione per giustificarne l’uso e non era un materiale troppo versatile e adattabile. Se fossimo però riusciti a tenerlo in quell’affascinante stato materico, sarebbe stata una bellissima occasione di applicarlo a un progetto di illuminazione.”

COME È STATA LA FASE DI RICERCA E SVILUPPO?

MS — “Abbiamo suonato a tanti campanelli di fornitori che usavano gli stessi materiali e le stesse tecniche per produrre vasche per i vini o attrezzi sportivi, ma purtroppo non si sono resi disponibili a collaborare per questa ricerca sperimentale. Non perdendoci però d’animo, abbiamo continuato a cercare, fino a trovare un imprenditore che lavorava questo materiale anche per le sue ricerche personali (si era costruito un deltaplano a motore). Lui si è appassionato al progetto e si è subito reso disponibile. Aveva un’azienda che produce canne da pesca straordinarie e molto particolari, ma ha deciso di lanciarsi con noi nel mondo della luce. Ci mandava dei campioni di prove che faceva in autonomia, chiedendoci pareri su nuove resine e nuovi filati. Il design è fatto di persone che agiscono e interagiscono insieme. Questa è una magia tutta italiana. Spesso in aziende nel resto del mondo aspettano che arrivi il designer che, come un supereroe, ti consegni tutto già pronto, chiavi in mano. Ma non funziona così: per fare dei progetti veramente innovativi serve un confronto continuo in cui si trovano i problemi e si risolvono insieme. A me piace lavorare così.”

 

SONO STATI SVILUPPATI MODELLI E PROTOTIPI DI STUDIO?

MS — “Il primo modello era fatto con uno stampo chiuso tradizionale, poi ci è venuto in mente di provare un’altra tecnica – il “rowing” – che si basa sull’avvolgimento di fili attorno a un corpo pieno. Osservando i fili che si potevano usare, ho trovato delle matasse considerate difettate, in cui il filo non era perfettamente lineare, ma risultava un po’ vibrato. Questo tipo di filo è diventato poi quello impiegato nella produzione finale. Le fibre non sono tutte regolari: noi abbiamo voluto valorizzare questo “difetto” che lo ha trasformato in una qualità sempre unica. Abbiamo voluto spogliarci del senso di tecnicità e abbiamo voluto portare il valore della manualità e un sapore materico caldo, come si sa fare in Italia. In un prototipo iniziale avevo troncato la sommità con un taglio a 45 gradi inserendo un faro di automobile. Se rivedo oggi quel primo prototipo mi disturba un po’, ma è assolutamente normale perché rappresenta l’inizio di un lungo percorso di ricerca. Per arrivare a un prodotto semplice, bisogna lavorare molto. All’inizio il mio segno era troppo forte, quasi violento. Foscarini è stata brava a mediarlo, ed è giusto così, questo è il design. È il giusto equilibrio tra le parti in campo per fare insieme un’opera comune. Solo lavorando con Foscarini, che sa trattare la luce, che sa dare quel sapore alle trasparenze e quel calore alla matericità, abbiamo fatto sì che il prodotto raggiungesse la sua giusta proporzione e autenticità. Siamo riusciti a ottenere un oggetto molto più netto, pulito, per cui la cosa importante è la luce che produce, la trasparenza del corpo e la vibrazione che si visualizza nel disegno. Non un oggetto che urla, ma un elemento dolce che entra nelle case.”

 

QUALI SONO LE SFIDE SPECIFICHE DI UN PROGETTO CON LA LUCE?

MS — “Dopo questa lampada e dopo questo approccio ai materiali compositi, mi sono un po’ ritrovato l’etichetta del designer che fa lampade con materiali ricercati. Questo non mi disturba, anzi, è ciò che insieme a Foscarini amiamo fare. Quindi oggi se trovo nelle mie ricerche qualcosa di interessante o di non ancora utilizzato per il mondo della luce, Foscarini è l’azienda con la quale potrei avere il miglior potenziale per sviluppare qualcosa di originale e innovativo.”

 

QUALI SONO GLI ASPETTI PIÙ SIGNIFICATIVI DELLA TECNOLOGIA LUMINOSA IMPIEGATI PER QUESTO PROGETTO?

MS — “La tecnologia luminosa in 20 anni è evoluta moltissimo, per cui ora utilizziamo il LED. Rispetto alla tecnologia del passato, è un po’ come pensare alla differenza che c’è tra un motore a iniezione elettronica e uno a carburatore. Anche con il carburatore si potevano ottenere ottimi risultati, ma serviva un genio che sapeva ascoltare il motore e poi regolava tutto manualmente. Per Mite è successa un po’ la stessa cosa. Nella prima versione avevamo messo una lampadina piuttosto lunga posizionata ad una certa altezza. Per chiudere il fusto abbiamo modellato una lastra circolare di metallo cromato con certi angoli che abbiamo sperimentato con diverse inclinazioni, per riflettere la luce diretta verso l’alto ma anche per far scendere la luce nel corpo della lampada, permettendo alla luce di lambire il materiale retro-illuminandolo. Ovviamente quella tecnologia poneva dei limiti alla libertà di azione, mentre oggi con i LED possiamo portare l’effetto luminoso esattamente dove vogliamo.”

 

COM’È CAMBIATO IL LAVORO DI PROGETTISTA IN QUESTO PRIMO VENTENNIO DEL NUOVO MILLENNIO?

MS — “Io sono felice oggi con il mio lavoro perché mi sembra di essere ritornato negli anni ‘70, quando l’imprenditore contava molto e metteva sul tavolo delle intenzioni chiare fatte di obiettivi, un programma di tempi, il giusto denaro e – sapendo di aver lavorato bene fino a quel punto – aveva l’intenzione di voler andare dove non era mai andato. Sarà questo periodo molto duro della pandemia, sarà che comincio a far fatica a lavorare con le grandi aziende multinazionali come quelle orientali, ma penso che sia tornato il momento di rimettersi a lavorare direttamente con degli imprenditori in prima persona.”

QUANTO È IMPORTANTE IL “TRASFERIMENTO TECNOLOGICO” NELLE RICERCHE DI DESIGN?

MS — “È fondamentale. Il mio lavoro si potrebbe vedere come il principio dei vasi comunicanti. Prendo una cosa da una parte, la “tiro” e la porto in un’altra parte per vedere cosa succede. L’ho sempre fatto per tutta la vita. Nel mio studio c’è un’officina dove con le mie mani posso costruire o riparare qualunque cosa e questo mi aiuta molto. Non è il concetto di sapere dove sta lo “sky’s limit”, però penso molto prima di dire di no a qualcosa, perché spesso ci sono già delle soluzioni altrove e quindi basta capire come trasferirle.”

 

QUESTA LAMPADA È FATTA DI UN “TESSUTO” (TECNOLOGICO) AUTOPORTANTE: CHE IDEA RELAZIONA IL TESSILE CON IL DESIGN DELLA LUCE?

MS — “In Mite l’importanza del tessuto è data dal vantaggio di poter avere una trama che fa vibrare la luce quando passa dal corpo e non è stato semplice trovare il giusto tessuto. Ma con il tessuto, nelle sue infinite variabili, si possono sempre fare cose meravigliose con la luce e infatti con Foscarini stiamo continuando a sperimentare e sviluppare nuovi progetti.”

 

COSA SIGNIFICA IL NOME MITE E LA SUA VARIANTE DA SOSPENSIONE TITE?

MS — “Il nome deriva da un gioco verbale in francese che mia madre mi aveva insegnato da bambino, per ricordarmi la differenza tra le conformazioni calcaree nelle caverne, divise in quelle che salgono dal basso, le stalagmiti, e quelle che scendono dall’alto, le stalattiti. Da qui l’idea del nome. Anche se inizialmente pensavo alla logica della forma che si assottiglia allontanandosi dal pavimento o dal soffitto – quindi i nomi delle due lampade dovrebbero essere invertiti – questa logica funziona bene comunque anche per assonanza tipologica: la (stalag)MITE è appoggiata a pavimento e la (stalag)TITE pende dal soffitto.”

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