Scegli il paese o il territorio in cui ti trovi per vedere i contenuti locali.

Italiano

it

In occasione della Milano Design Week 2024, una video installazione di Francesco Meneghini racconta la nuova versione SPOKES AMBIENT della lampada firmata da Garcia/Cumini.

Un tunnel scenografico che cattura lo sguardo, una coreografia di video, musica e luce mette in evidenza l’innovativa caratteristica di Spokes Ambient rispetto al progetto originale: la gestione personale dell’effetto luminoso.
Grazie alle due fonti LED indipendenti e dimmerabili, con Spokes Ambient è ora possibile modulare l’illuminazione in base alle proprie esigenze e preferenze: la sorgente diretta verso l’alto illumina l’ambiente con luce riflessa, quella verso il basso illumina il piano di lavoro. Volumi leggeri che contengono la luce e proiettano un caleidoscopio di luci e ombre.

“Osserviamo un flusso di paesaggi che sfidano l’ordinario, una sequenza di scenari desertici, ritmata dall’onda lenta di orizzonti in ascensore che sembrano quasi respirare. Nell’incrocio di queste immagini che si compenetrano, il visitatore viaggia ascoltando la pulsazione di un cosmo inedito. Questa è luce che trasforma, che racconta, che invita a perdersi in un’espansione silenziosa. Foscarini, con questa installazione, non illumina solamente, ma suona una melodia visiva per gli occhi.”

FRANCESCO MENEGHINI
/ Regista e Video Maker

In un contesto dinamico e in continua evoluzione come quello del design, alcune creazioni riescono a resistere alla prova del tempo, diventando simboli iconici di innovazione e creatività. Havana di Jozeph Forakis è uno di questi, ed oggi celebra il suo 30° anniversario.

Scopri Havana

Una lampada iconica che è stata capace di entrare nelle case e nell’immaginario collettivo, diventando un nuovo archetipo di lampada. Nata nel 1993, Havana si è affermata come un oggetto luminoso nuovo: una lampada a mezza altezza, quasi una nuova tipologia, con un corpo diffusore importante e molto visibile, che diffonde luce dal centro. Una figura familiare, un “personaggio” con cui instaurare una relazione personale, facile da inserire in ogni ambiente, per caratterizzarlo con la sua luce calda.

Il processo di sviluppo, dall’idea al prodotto, è stato accurato e graduale. I primi prototipi, realizzati in vetro e vetroresina, risultavano pesanti e costosi e avevano il difetto di far passare poca luce – perdendo la leggerezza e ironia insita nel concept. In una mossa rivoluzionaria, si è presa la decisione di abbandonare il vetro a favore della plastica, segnando così un momento cruciale per Foscarini. Una scelta che ha contribuito in modo significativo a determinare ciò che è diventata Foscarini oggi. Un’azienda che sceglie di mettere sempre al centro il design, senza porsi limiti e senza fare compromessi, per sviluppare appieno lo spirito di ciascun progetto. Ricorda Jozeph Forakis:

“Havana fu la prima lampada in materiale plastico fatta da Foscarini. Era un po’ un rischio ma Foscarini, che si dimostrò molto coraggiosa, decise di azzardare questa novità assoluta.”

JOZEPH FORAKIS
/ Designer

Il successo di Havana non è stato privo di sfide. Inizialmente accolta con scetticismo da alcuni rivenditori, è diventata presto un archetipo del design. Il suo ingresso nella collezione del Museum of Modern Art (MoMA) di New York nel 1995 ha rappresentato un momento decisivo, confermando la sua rilevanza nella storia del design.

Nei suoi 30 anni di storia, Havana è stata presentata in varianti cromatiche e funzionali, inclusa una versione outdoor, senza mai perdere la sua forma distintiva e la sua straordinaria capacità di evocare un’eco emotiva con la sua presenza calda e familiare.

E-BOOK

30 Years of Havana
— Foscarini Design stories
Creativity & Freedom

Scarica l’esclusivo e-book dedicato ai 30 anni di Havana, con un’intervista approfondita a Jozeph Forakis e scopri di più sulla storia della lampada, il suo sviluppo, il coraggio che ci ha guidato nella scelta dei materiali e il suo impatto nel panorama del design.

Vuoi dare un’occhiata?

L’Osservatorio Permanente del Design ha scelto ancora una volta Foscarini per l’eccellenza progettuale e il carattere pionieristico. A rappresentare queste caratteristiche distintive del brand sono per il 2023 le lampade Nile e Chiaroscura, selezionate per la categoria Design per l’Illuminazione.

NILE
Lampada da Tavolo
Design: Rodolfo Dordoni

 

Ideata da Rodolfo Dordoni, Nile è una lampada d’arredo di grande carattere, con una presenza scenica importante, in grado di trasferire ad ogni ambiente la propria eleganza sofisticata. Bellissima già da spenta, si accende di meraviglia quando la luce filtra attraverso il prezioso vetro soffiato a bocca, dirigendosi verso il basso sul piano e verso l’alto attraverso i due lati aperti del diffusore.

 

Una lampada-scultura in cui coesistono elementi contrastanti, uniti in una composizione di volumi che sembra sfidare la legge di gravità e rappresenta l’equilibrio tra gli opposti: la consistenza del marmo e la delicatezza del vetro, il freddo di un materiale estratto e il calore di un materiale soffiato. Base e diffusore, con le loro diverse inclinazioni, riescono a stare insieme grazie a un gioco invisibile di pesi, posizioni e giunzioni che determina un dinamico effetto d’insieme.

“Volevo una presenza scultorea, un vero e proprio diffusore di luce, con una forma non necessariamente aderente alla funzione. Ho disegnato due volumi intersecati: la piccola base, in marmo, e il grande diffusore in vetro. Quando li ho guardati mi hanno fatto venire in mente il famoso busto della regina egizia Nefertiti e da qui è nato il nome: Nile.”

RODOLFO DORDONI
/ Designer

CHIAROSCURA
Lampada da terra
Design Alberto e Francesco Meda

 

Chiaroscura nasce da una sfida progettuale: esplorare la possibilità di arricchire la funzionalità del classico luminator, che per definizione emette solo luce indiretta verso l’alto. Il corpo leggero di Chiaroscura, illuminato totalmente e non più solo illuminante, è l’obiettivo che ha guidato la definizione della forma, la scelta dei materiali e quella delle tecnologie produttive. Essenziale e di carattere allo stesso tempo, è una presenza discreta che cela una complessità tecnica interna non esibita, semplice per chi lo usa.

 

Chiaroscura è composta da tre semiarchi che descrivono una particolare sezione triangolare: una scelta di design che risulta in una presenza equilibrata ma mai banale, perché capace di cambiare a seconda del punto di vista. La lampada è composta da elementi di materiali diversi che si sfilano e si incastrano gli uni negli altri, senza rinunciare alla facilità di montaggio e smontaggio. La sua struttura è un alternarsi di superfici opache e luminose che alleggeriscono l’impatto visivo della lampada, realizzate con estrusi in alluminio e PMMA a prismi longitudinali che assicurano allo stesso tempo trasparenza e confortevole diffusione della luce. Chiaroscura fornisce quindi sia una luce potente, indiretta, proveniente dal LED inserito sulla sommità, sia una luce indiretta a parete o diffusa nell’ambiente a seconda di come viene orientata la lampada, grazie alla striscia LED alloggiata all’interno lungo tutta l’altezza di uno degli estrusi di alluminio. Le scanalature integrate negli estrusi permettono lo scorrimento tra alluminio e plastica, mentre dei tappi laterali impediscono movimenti non desiderati.

 

Chiaroscura è protagonista dell’installazione luminosa site-specific Luce Scalare sullo Scalone d’Onore della Triennale di Milano che accompagna all’ingresso della mostra Alberto Meda: Tensione e Leggerezza che affronta alcune delle caratteristiche compositive e metodologiche del maestro italiano.

Scopri Chiaroscura

In occasione della mostra che la Triennale di Milano dedica al grande maestro italiano, visitabile dal 6 ottobre fino al 24 Marzo 2024, Foscarini ha realizzato su progetto dello stesso Meda un’installazione site-specific per lo Scalone d’onore della Triennale, che vede protagonista 34 lampade CHIAROSCURA – 17 per ogni lato della scalinata – realizzate su misura, dalla più grande di oltre cinque metri di altezza (552 cm) alla più piccola con altezza 57 centimetri. Una scenografia luminosa, con diverse dimmerazioni della luce a creare una coreografia.

“Quando Marco Sammicheli mi ha proposto, quale curatore, di pensare a un’installazione “on site” per lo Scalone d’Onore della Triennale di Milano, in occasione della mia mostra personale, ho fatto un rapido sopralluogo e ho scoperto che le pareti laterali dello scalone non sono continue ma realizzate con colonne di marmo a sezione triangolare distanziate tra loro di 10 cm. Gli spazi tra una colonna e l’altra hanno altezze diverse, partono all’inizio dello scalone da una quota di circa 5 metri e arrivano all’ultimo gradino prima del mezzanino a circa 50 cm. Mi piaceva un intervento rispettoso dell’architettura, che si inserisse in modo discreto al fine di valorizzarla e così ho pensato che la luce potesse essere la soluzione. Nascondere degli elementi luminosi nelle fughe tra una colonna e l’altra poteva essere l’idea. Così ho pensato a Chiaroscura, il luminator a sezione triangolare, come le colonne, che ho progettato con mio figlio Francesco per Foscarini e alla sua caratteristica costruttiva, realizzato con estrusi di alluminio e di metacrilato, in grado quindi di avere lunghezze diverse, anche fino a 6 metri. È la tecnologia dell’estrusione e la sua intrinseca libertà dimensionale che mi hanno suggerito l’idea di realizzare un insieme luminoso “scalare” che fa luce dalle sue 3 facce sia sullo scalone ma anche sulle due scale che scendono al teatro. Mi sembrava interessante dare all’insieme anche un’altra dimensione, una dimensione luminosa dinamica e così con Foscarini abbiamo predisposto una soluzione elettronica per ottenere questo effetto”.

ALBERTO MEDA
/ ingegnere, designer e progettista

Espressione della capacità di Foscarini di rispondere ad esigenze specifiche di progettisti e interior designer, CHIAROSCURA racconta il carattere innovativo del marchio. Una luce che nasce nella contemporaneità e che deve la sua personalità distintiva al particolare effetto luminoso e all’originale sintonia tra forma e funzione.

Disegnata da Alberto con il figlio Francesco, CHIAROSCURA è la reinterpretazione contemporanea del classico luminator. Di carattere pur nella sua presenza così essenziale, capace di emanare luce a 360°, CHIAROSCURA nasce da una sfida progettuale: esplorare la possibilità di arricchire la funzionalità del classico luminator che per definizione emette solo luce indiretta verso l’alto. Il corpo elegante e leggero, illuminato totalmente, non più solo illuminante, è stato l’obiettivo che ha guidato la definizione della forma, la scelta dei materiali e delle tecnologie produttive.

Insieme a Foscarini, i Meda ne hanno infatti ampliato la funzionalità creando una struttura triangolare in estrusi di alluminio dotata di LED: una “gabbia” all’interno della quale è collocato un estruso in plastica opalina che diffonde la luce. A differenza dei luminator classici, CHIAROSCURA emette quindi luce d’ambiente ai lati e una luce indiretta a soffitto.
Il corpo sottile e visivamente leggero di CHIAROSCURA e la sua luce calda e accogliente, la rendono duttile, trasversale, in grado di portare la propria personalità discreta ad arricchire ambienti differenti, dal mondo residenziale al contract, dall’ufficio alla casa.

Chiaroscura è una lampada che – su richiesta e per particolari esigenze progettuali – può essere realizzata anche ad altezze diverse rispetto alla versione standard disponibile a catalogo.

La nascita della lampada-scultura Orbital ha rappresentato per Foscarini non solo l’inizio della collaborazione con Ferruccio Laviani, ma anche una dichiarazione d’intenti: abbiamo abbandonato per la prima volta il vetro soffiato di Murano, abbracciando il pensiero che oggi ci porta a gestire più di venti tecnologie diverse.

Se dovessi raccontare la collaborazione con Foscarini con un aggettivo, quale sceglieresti?

Ne userei due: proficua e libera. La prima parola ha un sapore pecuniario ma non va intesa in questo senso, o meglio non solo. Il fatto che quasi tutte le lampade che ho disegnato per Foscarini siano ancora a catalogo è un’ottima notizia sia per il mio studio che per l’azienda.
Ma la definisco proficua soprattutto perché aver disegnato oggetti che, a distanza di 30 anni, la gente ancora apprezza è un enorme sollievo per un progettista: è la conferma che quello che fa ha un senso.
C’è poi il tema della libertà creativa. Foscarini mi ha permesso di muovermi con estrema indipendenza espressiva dal prodotto agli spazi, senza mai imporre paletti di nessun tipo. È cosa veramente rara e preziosa.

 

Come mai, secondo te, siete arrivati a questa libertà espressiva e creativa?

Penso sia parte del modo di essere delle persone coinvolte. Se un progettista si guadagna la sua fiducia, Foscarini risponde lasciando una libertà di espressione totale. Sono coscienti del fatto che è il modo migliore di ottenere il massimo dalla collaborazione, per entrambe le parti. Ovviamente una volta constatato che al lavoro “di pancia” segue poi anche quello “di testa”. Nel mio caso Orbital è stata la scommessa iniziale: una lampada dall’estetica così connotata sarebbe piaciuta? Avrebbe resistito al test del tempo? La risposta del pubblico è stata affermativa e, da quel momento, il nostro sodalizio è sempre stato all’insegna della massima libertà.

Cosa significa questa libertà per un designer?

Dà la possibilità di sondare diverse sfaccettature del possibile. Per una persona come me, che non si è mai identificato in uno stile o un particolare tipo di gusto ma si innamora periodicamente di sapori, atmosfere, decori sempre diversi, questa libertà è fondamentale perché mi permette di esprimermi. Non ho pretese artistiche e sono ben conscio che quello che faccio è produzione: oggetti di serie che devono avere una funzione ben chiara e assolverla al meglio. Di fianco a queste considerazioni razionali, però, quello che mi agita nell’atto creativo è il desiderio. La voglia, quasi incontenibile, di dar vita a un oggetto che non c’è: qualcosa che vorrei avere come parte della mia vita.

Come sono questi oggetti che desideri e quindi progetti?

Non ho una risposta dal punto di vista dello stile: faccio cose sempre diverse perché mi sento sempre diverso e riempio i miei spazi fisici e mentali con presenze che variano nel tempo e riflettono questi paesaggi personali. Mi affascina però tutto quello che crea un legame con le persone e tra le persone. Alle cose che progetto quindi do sempre un carattere: quello che a mio avviso riflette al meglio il mio modo di interpretare lo spirito del tempo. A volte dell’attimo. Questo è molto più vero per una lampada piuttosto che per un altro elemento d’arredo perché una lampada decorativa si sceglie per un’affinità, per quello che dice a noi e di noi. È l’inizio di un dialogo ideale tra il designer e l’acquirente. Se poi quella lampada continua a parlare alla gente anche dopo 30 anni vuol dire che quella conversazione è rilevante e ancora riesce a dire qualcosa di significativo.

L’evento per il trentennale di Orbital è stato anche occasione di presentare ufficialmente il nuovo progetto fotografico NOTTURNO LAVIANI, con una mostra dedicata a Foscarini Spazio Monforte. In questo progetto Gianluca Vassallo interpreta le lampade che Laviani ha disegnato per Foscarini in una narrazione che procede per episodi, con quattordici scatti in cui le luci abitano spazi alieni.

Scopri di più su Notturno Laviani

Cosa provi davanti all’interpretazione che Gianluca Vassallo ha fatto delle tue lampade?

La sensazione di un cerchio che si chiude. Perché Gianluca racconta una sua idea di luce usando gli oggetti che ho disegnato come sottili ma significative presenze. Ed è lo stesso che accade quando una persona decide di mettersi in casa una mia lampada. Davanti a Notturno provo dunque quella stessa grande emozione che provo quando qualcuno si impossessa di un mio progetto e lo rende partecipe della sua esistenza: la sensazione è quella – bellissima – di aver fatto qualcosa che ha un senso e una rilevanza per gli altri.

 

Qual è lo scatto che più ti rappresenta?

Senz’altro quello della Orbital in esterno: il cavalcavia con il manifesto stracciato del circo. Perché io sono così: tutto e il contrario di tutto.

E-Book

30 Years of Orbital
— Foscarini Design stories
Creativity & Freedom

Scarica l’esclusivo e-book Foscarini Design stories — 30 years of Orbital e scopri di più sulla collaborazione tra Foscarini e Laviani. Una collaborazione proficua, nata da un’affinità elettiva, che si è sviluppata in tre decenni come un percorso di crescita comune.

Vuoi dare un’occhiata?

Laboratorio di pura sperimentazione sulla luce condotta da Foscarini con Andrea Anastasio e Davide Servadei di Ceramica Gatti 1928, il progetto Battiti è un’esperienza di totale libertà che apre a nuove interpretazioni sulla luce, che qui assume il carattere di materia nel dialogo con la ceramica.

Nel progetto Battiti, presentato in mostra al Fuori Salone 2022, la luce viene impiegata non per illuminare ma per costruire. Come fosse un materiale: che realizza effetti, sottolinea forme, imbastisce ombre. Perché è questo che fa Andrea Anastasio quando mette mano alle opere dell’archivio della bottega Gatti, smembrandole e poi riassemblandole seguendo il solo istinto primordiale di chi crea per desiderio, passione e necessità: ribalta la logica tradizionale e arriva a una logica nuova, interpreta la storia dandole un senso e un significato diverso. E, in questo atto che è creazione e scoperta insieme, Anastasio usa la luce che diventa così anche strumento di dialogo con chi osserva. I tagli di luce, elementi attivi e “vivi” nei bassorilievi e nelle sculture di Anastasio, sono quindi un incipit di una nuova relazione tra gli oggetti che li accolgono e chi li guarda.

“Battiti è iniziato con una riflessione sulla relazione millenaria tra la luce e la ceramica, un viaggio che va dalle lanterne a olio alle edicole religiose e che accompagna la forma della visione, nelle sue numerose manifestazioni. Poi, si è fatta strada un’altra osservazione e ho cominciato a sezionare pannelli ceramici provenienti da calchi dell’archivio Gatti di Faenza e a scomporli in modo sistematico. Portare la luce in questa serie di lavori é stato un lento processo seguito a un’intuizione immediata, come spesso accade quando si desidera restituire l’impatto di una visione che ci cattura e che allo stesso tempo ci sfugge, proprio perché impalpabile. Così, una volta ancora, il dialogo tra ornamento e luce diventa occasione di consapevolezza del ruolo che la luce svolge nel nostro quotidiano divenire e della sua capacità di ricordarci l’illusorietà del continuo e la vanità del compiuto.”

ANDREA ANASTASIO
/ Designer

Una ricerca frutto della libertà che da sempre caratterizza Foscarini, azienda senza fabbrica, che vive di idee, di immaginazione. Una libertà che rende possibile – anzi necessario – esplorare ogni volta i materiali e le modalità di produzione più adeguati a sviluppare nel modo migliore ogni nuova idea. Un approccio differenziante per una realtà industriale con una profonda anima artigianale. Un’operazione, lontana da logiche commerciali, tipica dell’identità di Foscarini che da sempre crede nell’innovazione e nella costante ricerca di senso.

“Solo andando fuori dal seminato si ha il coraggio di immaginare idee nuove. Solo ascoltando e condividendo visioni con persone che appartengono ad altri mondi si capisce dove ha senso andare. Solo condividendo la passione vera dei creatori si coglie il senso della parola progetto, nella sua accezione più pura e autentica”

CARLO URBINATI
/ Presidente e fondatore di Foscarini

E-BOOK

BATTITI —
Foscarini Artbook series #1
Research & Developement

Scarica l’esclusivo e-book “Foscarini Artbook series — Battiti” che racconta questa ricerca, ispirata dal solo desiderio di esplorare nuovi linguaggi espressivi, significati e modi di fruire la luce. Approfondimenti critici di Carlo Urbinati, Andrea Anastasio e Franco La Cecla. Fotografie di Massimo Gardone.

Vuoi dare un’occhiata?

Il Premio Compasso d’Oro è il più antico e autorevole premio mondiale del settore del design. Istituito nel 1954, su proposta di Giò Ponti, ha lo scopo di mettere in evidenza il valore e la qualità dei prodotti del design italiano.

Dal 1958 ADI, l’Associazione per il Disegno Industriale, ne cura l’organizzazione, garantendone imparzialità e integrità – assegnandolo sulla base di una preselezione effettuata da una commissione di esperti, designer, critici, storici, giornalisti – con l’obiettivo di promuove e riconoscere la qualità e l’innovazione della ricerca, della cultura materiale e del progetto italiani.

Tutti gli oggetti premiati entrano a far parte della Collezione Storica del Premio Compasso d’Oro ADI, dichiarata dal Ministero dei Beni Culturali come bene nazionale “di eccezionale interesse artistico e storico”.

Più volte, nel corso degli anni, Foscarini è stata selezionata dall’Osservatorio Permanente del Design – l’organismo ADI che, grazie a commissioni di esperti, valuta la produzione italiana nelle varie categorie merceologiche – ottenendo due Compassi D’Oro e sette Menzioni d’Onore, a testimonianza del costante impegno dell’azienda nella ricerca, nella proposta di nuove forme e significati, non solo nel prodotto, ma anche nel modo di raccontarsi.

2001: Il Compasso d’Oro a Mite e Tite

Scopri Mite e Tite

Frutto di oltre due anni di ricerche, la lampada da terra Mite è prodotta dal 2000. Concepita da Marc Sadler, utilizza un diffusore alto 185 cm, a pianta circolare che si sagoma allargandosi verso l’alto, realizzato in tessuto di vetro con avvolto un filo in carbonio per la versione nera, in Kevlar® per la versione gialla.
La ricerca sul materiale è partita dall’esplorazione delle possibili tecnologie del rowing, che si basa sull’avvolgimento di fili attorno a un corpo pieno. Una tecnologia normalmente utilizzata per la produzione di canne da pesca e remi per le imbarcazioni da competizione, e già utilizzata da Marc Sadler per la realizzazione di mazze da golf. In anteprima assoluta Foscarini ha applicato questa tecnica al settore dell’illuminazione e ne ha brevettato l’invenzione. Il tessuto di vetro viene tagliato come un vestito, avvolto ad uno stampo con una resina polimerizzata e il filo, e successivamente viene fatto cuocere in forno. In questo modo, il filo crea un’originale decorazione e conferisce al materiale spiccate caratteristiche di flessibilità e solidità, leggerezza e resistenza e la struttura è al contempo corpo portante e illuminante.
La giuria del Compasso d’oro-ADI 2001 assegnando il premio a Mite e alla sospensione Tite lo ha così motivato:

“Innovazione tecnologica nell’utilizzo di un materiale appositamente progettato, facilità di manutenzione e pulizia, leggerezza e conformazione caratterizzano un oggetto di grande semplicità e dal design essenziale per espressività estetica nella risposta funzionale”.

Le lampade Mite e Tite sono conservate presso l’ADI Design Museum di Milano e sono inserite nella collezione di design del Centre Pompidou di Parigi.

2011: Menzione d’onore per l’installazione “Infinity”

Infinity – un gigantesco caleidoscopio progettato da Vicente Garcia Jimenez che moltiplicava all’infinito le immagini della collezione Foscarini – ha accolto al suo interno e affascinato i visitatori del Fuorisalone 2009, negli spazi di Superstudio Più a Milano, coinvolgendoli in un’esperienza multisensoriale fuori dal comune fatta di coreografie di luce, con video realizzati da Massimo Gardone e musiche originali di Francesco Morosini. L’installazione è stata selezionata nell’ADI Design Index 2010 e premiata nel 2011 con una Menzione d’Onore in occasione del XXII Compasso d’Oro, quale riconoscimento alla comunicazione fortemente innovativa di Foscarini.

2014: Il Compasso d’Oro al progetto editoriale Inventario

Scopri Inventario

Tra libro e rivista, Inventario è un progetto editoriale diretto da Beppe Finessi, promosso e sostenuto da Foscarini, che esplora le migliori produzioni della creatività internazionale, attraverso un racconto sul progetto condotto da molteplici punti di vista.
Inventario getta uno sguardo illuminato e libero sulla scena del design, dell’architettura e dell’arte. Un approccio unico e inconfondibile che è stato riconosciuto e premiato con Il Compasso d’Oro ADI nella sua XIII edizione, con questa motivazione della giuria: “per la capacità di sintetizzare argomenti culturalmente elevati con leggerezza, illustrandoli con una forte identità visiva e qualità del prodotto editoriale”.
Con la direzione artistica di Artemio Croatto/Designwork, edito da Corraini Edizioni, Inventario è disponibile nei migliori book-shop e librerie di tutto il mondo e può essere acquistato anche online.

“Inventario non parla di Foscarini perché abbiamo voluto dar vita a un progetto che fosse completamente libero e quindi credibile nella sua autonomia. Inventario è portavoce dei nostri valori, guarda avanti con occhi attenti e curiosi e con il piacere di praticare i territori dell’innovazione, come è nello spirito Foscarini”.

CARLO URBINATI
/ PRESIDENTE FOSCARINI

2014: Una pioggia di Riconoscimenti

L’impegno e l’innovazione di Foscarini, laboratorio sperimentale e creativo all’insegna dell’eccellenza, sono stati premiati nell’edizione 2014 del Compasso d’Oro con molteplici riconoscimenti. Oltre al Compasso d’Oro assegnato ad Inventario, in occasione della XIII edizione del prestigioso premio, Foscarini ha ricevuto Menzioni d’Onore per i prodotti Aplomb (design: Lucidi e Pevere), Behive (design: Werner Aisslinger), Binic (design: Ionna Vautrin), Colibrì (design: Odoardo Fioravanti) e Magneto (design: Giulio Iacchetti).

2020: Menzione d’Onore per Satellight

Scopri Satellight

La giuria internazionale della XXVI edizione del Premio Compasso d’Oro ADI ha conferito alla lampada disegnata da Eugeni Quitllet la menzione d’onore. Rilevante è l’utilizzo innovativo del vetro soffiato e del cristallo che rende Satellight un oggetto semplice e di immediata lettura, ma anche inedito e profondo nella sua poetica leggerezza.
La lampada ha un design caratterizzato da un globo luminoso sospeso, che ricorda la luna nel cielo notturno o una sfera di luce trattenuta da un drappo trasparente e impalpabile. Il diffusore, grazie alla finitura satinata, appare come una presenza materica sospesa nel nulla, anche quando la lampada è spenta.

 

 

Mite è la lampada che ha segnato l’inizio dell’ormai storica collaborazione tra Foscarini e Marc Sadler: un progetto che sovverte gli schemi assecondando quelli che il designer definisce “picchi di irragionevolezza”, l’attitudine che permette di esplorare tutte le potenzialità di un materiale e di una tecnologia.

Nel 2001 Mite è stata premiata con il Compasso d’Oro ADI, il più autorevole premio mondiale di design, insieme alla versione da sospensione Tite. Sono trascorsi vent’anni da allora, e riteniamo che questo evento, come il carattere iconico e senza tempo di Mite, meriti una celebrazione adeguata. Nasce così Mite Anniversario, che fa evolvere il concetto originale di Mite attraverso ulteriori sperimentazioni e variazioni. In questa importante occasione abbiamo intervistato Marc Sadler e fatto un’interessante chiacchierata su Mite, Tite e sul design legato all’illuminazione.

 

COME È INIZIATA LA COLLABORAZIONE CON FOSCARINI PER LA LAMPADA MITE?

MS — “Ho conosciuto Foscarini in un periodo in cui abitavo a Venezia e Mite è stato il primo progetto sviluppato insieme. Per me Foscarini era una piccola azienda che faceva vetro ed era una realtà lontana da ciò che facevo io. Un giorno, per caso su un vaporetto, ho conosciuto uno dei soci. Parlando del nostro lavoro e di ciò che facevamo, mi riferì di un tema sul quale stavano riflettendo. Mi chiese di pensare a un progetto che avesse il sapore incerto del vetro – quell’aspetto artigianale che è impossibile da controllare e che fa sì che ogni oggetto abbia la sua personalità – ma che si potesse produrre industrialmente, con una visione più integrata. Ci siamo lasciati salutandoci, promettendogli di pensarci.”

 

QUAL È STATA L’IDEA PRINCIPALE CHE HA DATO IL VIA A QUESTO PROGETTO?

MS — “Stavo andando a Taiwan per un progetto di racchette da tennis e di mazze da golf per un’azienda che lavorava la fibra di vetro e la fibra di carbonio. Quello è un mondo per cui i prodotti hanno grandi numeri, non pochi esemplari. La racchetta, quando la si produce, quando esce dagli stampi, è bellissima; poi le persone che la lavorano cominciano a pulirla, a rifinirla, a verniciarla, a ricoprirla di vari elementi grafici e così pian piano perde parte del fascino della fase produttiva. Alla fine hai un oggetto che è carico di segni che nascondono la vera struttura e il prodotto finale risulta per me sempre meno interessante del prodotto nella fase iniziale. Per il mio lavoro di progettista preferisco il prodotto allo stato grezzo, a monte delle finiture, quando è ancora un oggetto “mitico”, bellissimo, perché la materia vibra. Proprio guardando questi pezzi in controluce si vedevano le fibre, e ho notato come la luce trapassava la materia. Mi sono preso un po’ di questi campioni e li ho portati a Venezia. Appena tornato ho chiamato Foscarini e ho detto loro che stavo pensando ad un modo di usare questo materiale. Anche se la fibra di vetro, fatta di pezze di materiale ha dei limiti nelle sue incertezze di lavorazione, io pensavo a un oggetto da produrre industrialmente. Proporlo a loro era un po’ un azzardo perché ci volevano grosse quantità di produzione per giustificarne l’uso e non era un materiale troppo versatile e adattabile. Se fossimo però riusciti a tenerlo in quell’affascinante stato materico, sarebbe stata una bellissima occasione di applicarlo a un progetto di illuminazione.”

COME È STATA LA FASE DI RICERCA E SVILUPPO?

MS — “Abbiamo suonato a tanti campanelli di fornitori che usavano gli stessi materiali e le stesse tecniche per produrre vasche per i vini o attrezzi sportivi, ma purtroppo non si sono resi disponibili a collaborare per questa ricerca sperimentale. Non perdendoci però d’animo, abbiamo continuato a cercare, fino a trovare un imprenditore che lavorava questo materiale anche per le sue ricerche personali (si era costruito un deltaplano a motore). Lui si è appassionato al progetto e si è subito reso disponibile. Aveva un’azienda che produce canne da pesca straordinarie e molto particolari, ma ha deciso di lanciarsi con noi nel mondo della luce. Ci mandava dei campioni di prove che faceva in autonomia, chiedendoci pareri su nuove resine e nuovi filati. Il design è fatto di persone che agiscono e interagiscono insieme. Questa è una magia tutta italiana. Spesso in aziende nel resto del mondo aspettano che arrivi il designer che, come un supereroe, ti consegni tutto già pronto, chiavi in mano. Ma non funziona così: per fare dei progetti veramente innovativi serve un confronto continuo in cui si trovano i problemi e si risolvono insieme. A me piace lavorare così.”

 

SONO STATI SVILUPPATI MODELLI E PROTOTIPI DI STUDIO?

MS — “Il primo modello era fatto con uno stampo chiuso tradizionale, poi ci è venuto in mente di provare un’altra tecnica – il “rowing” – che si basa sull’avvolgimento di fili attorno a un corpo pieno. Osservando i fili che si potevano usare, ho trovato delle matasse considerate difettate, in cui il filo non era perfettamente lineare, ma risultava un po’ vibrato. Questo tipo di filo è diventato poi quello impiegato nella produzione finale. Le fibre non sono tutte regolari: noi abbiamo voluto valorizzare questo “difetto” che lo ha trasformato in una qualità sempre unica. Abbiamo voluto spogliarci del senso di tecnicità e abbiamo voluto portare il valore della manualità e un sapore materico caldo, come si sa fare in Italia. In un prototipo iniziale avevo troncato la sommità con un taglio a 45 gradi inserendo un faro di automobile. Se rivedo oggi quel primo prototipo mi disturba un po’, ma è assolutamente normale perché rappresenta l’inizio di un lungo percorso di ricerca. Per arrivare a un prodotto semplice, bisogna lavorare molto. All’inizio il mio segno era troppo forte, quasi violento. Foscarini è stata brava a mediarlo, ed è giusto così, questo è il design. È il giusto equilibrio tra le parti in campo per fare insieme un’opera comune. Solo lavorando con Foscarini, che sa trattare la luce, che sa dare quel sapore alle trasparenze e quel calore alla matericità, abbiamo fatto sì che il prodotto raggiungesse la sua giusta proporzione e autenticità. Siamo riusciti a ottenere un oggetto molto più netto, pulito, per cui la cosa importante è la luce che produce, la trasparenza del corpo e la vibrazione che si visualizza nel disegno. Non un oggetto che urla, ma un elemento dolce che entra nelle case.”

 

QUALI SONO LE SFIDE SPECIFICHE DI UN PROGETTO CON LA LUCE?

MS — “Dopo questa lampada e dopo questo approccio ai materiali compositi, mi sono un po’ ritrovato l’etichetta del designer che fa lampade con materiali ricercati. Questo non mi disturba, anzi, è ciò che insieme a Foscarini amiamo fare. Quindi oggi se trovo nelle mie ricerche qualcosa di interessante o di non ancora utilizzato per il mondo della luce, Foscarini è l’azienda con la quale potrei avere il miglior potenziale per sviluppare qualcosa di originale e innovativo.”

 

QUALI SONO GLI ASPETTI PIÙ SIGNIFICATIVI DELLA TECNOLOGIA LUMINOSA IMPIEGATI PER QUESTO PROGETTO?

MS — “La tecnologia luminosa in 20 anni è evoluta moltissimo, per cui ora utilizziamo il LED. Rispetto alla tecnologia del passato, è un po’ come pensare alla differenza che c’è tra un motore a iniezione elettronica e uno a carburatore. Anche con il carburatore si potevano ottenere ottimi risultati, ma serviva un genio che sapeva ascoltare il motore e poi regolava tutto manualmente. Per Mite è successa un po’ la stessa cosa. Nella prima versione avevamo messo una lampadina piuttosto lunga posizionata ad una certa altezza. Per chiudere il fusto abbiamo modellato una lastra circolare di metallo cromato con certi angoli che abbiamo sperimentato con diverse inclinazioni, per riflettere la luce diretta verso l’alto ma anche per far scendere la luce nel corpo della lampada, permettendo alla luce di lambire il materiale retro-illuminandolo. Ovviamente quella tecnologia poneva dei limiti alla libertà di azione, mentre oggi con i LED possiamo portare l’effetto luminoso esattamente dove vogliamo.”

 

COM’È CAMBIATO IL LAVORO DI PROGETTISTA IN QUESTO PRIMO VENTENNIO DEL NUOVO MILLENNIO?

MS — “Io sono felice oggi con il mio lavoro perché mi sembra di essere ritornato negli anni ‘70, quando l’imprenditore contava molto e metteva sul tavolo delle intenzioni chiare fatte di obiettivi, un programma di tempi, il giusto denaro e – sapendo di aver lavorato bene fino a quel punto – aveva l’intenzione di voler andare dove non era mai andato. Sarà questo periodo molto duro della pandemia, sarà che comincio a far fatica a lavorare con le grandi aziende multinazionali come quelle orientali, ma penso che sia tornato il momento di rimettersi a lavorare direttamente con degli imprenditori in prima persona.”

QUANTO È IMPORTANTE IL “TRASFERIMENTO TECNOLOGICO” NELLE RICERCHE DI DESIGN?

MS — “È fondamentale. Il mio lavoro si potrebbe vedere come il principio dei vasi comunicanti. Prendo una cosa da una parte, la “tiro” e la porto in un’altra parte per vedere cosa succede. L’ho sempre fatto per tutta la vita. Nel mio studio c’è un’officina dove con le mie mani posso costruire o riparare qualunque cosa e questo mi aiuta molto. Non è il concetto di sapere dove sta lo “sky’s limit”, però penso molto prima di dire di no a qualcosa, perché spesso ci sono già delle soluzioni altrove e quindi basta capire come trasferirle.”

 

QUESTA LAMPADA È FATTA DI UN “TESSUTO” (TECNOLOGICO) AUTOPORTANTE: CHE IDEA RELAZIONA IL TESSILE CON IL DESIGN DELLA LUCE?

MS — “In Mite l’importanza del tessuto è data dal vantaggio di poter avere una trama che fa vibrare la luce quando passa dal corpo e non è stato semplice trovare il giusto tessuto. Ma con il tessuto, nelle sue infinite variabili, si possono sempre fare cose meravigliose con la luce e infatti con Foscarini stiamo continuando a sperimentare e sviluppare nuovi progetti.”

 

COSA SIGNIFICA IL NOME MITE E LA SUA VARIANTE DA SOSPENSIONE TITE?

MS — “Il nome deriva da un gioco verbale in francese che mia madre mi aveva insegnato da bambino, per ricordarmi la differenza tra le conformazioni calcaree nelle caverne, divise in quelle che salgono dal basso, le stalagmiti, e quelle che scendono dall’alto, le stalattiti. Da qui l’idea del nome. Anche se inizialmente pensavo alla logica della forma che si assottiglia allontanandosi dal pavimento o dal soffitto – quindi i nomi delle due lampade dovrebbero essere invertiti – questa logica funziona bene comunque anche per assonanza tipologica: la (stalag)MITE è appoggiata a pavimento e la (stalag)TITE pende dal soffitto.”

Era il 1990 quando Foscarini presentò una lampada di vetro soffiato, caratterizzata dall’abbinamento con un treppiede di alluminio, nata dall’incontro con il designer Rodolfo Dordoni che rileggeva con un nuovo spirito la classica tipologia dell’abat-jour. Quella lampada si chiamava Lumiere.

Scopri Lumiere

Quando e come nasce il progetto Lumiere (la scintilla, chi erano gli attori iniziali, i fautori)?

Stiamo parlando di diversi anni fa, per cui ricordare chi fossero gli attori richiede uno sforzo di memoria che alla mia età forse non è così semplice.
Quello che posso dire è il contesto in cui è nata Lumiere. Era un periodo nel quale avevo iniziato a lavorare con Foscarini su una sorta di cambiamento dell’azienda. Mi avevano chiamato per una regia generale, che poteva essere una specie di direzione artistica della nuova collezione, perché la loro intenzione era di cambiare l’impostazione dell’azienda.
Foscarini era una azienda pseudomuranese, nel senso che risiedeva a Murano ma aveva una mentalità non esclusivamente muranese. Abbiamo iniziato a lavorare su questo concetto: conservare l’identità dell’azienda (l’identità delle origini dell’azienda, quindi Murano-Vetro) ma differenziandoci rispetto all’atteggiamento delle altre aziende muranesi (cioè fornace-vetro soffiato) cercando di aggiungere al prodotto dei dettagli tecnologici che lo caratterizzassero, e rendessero Foscarini più un’azienda di “illuminazione” che di “vetro soffiato”. Questo concetto era la linea-guida per la Foscarini del futuro, all’epoca.

 

Dove viene partorita Lumiere? E cosa ha portato alla sua forma-funzione (i paletti progettuali, i materiali vetro soffiato e alluminio)?

Sulla base della linea-guida di cui ho appena parlato, abbiamo iniziato a immaginare e disegnare prodotti durante degli incontri. A uno di questi incontri, credo fossimo ancora nella vecchia sede di Murano, ho fatto uno schizzo su un foglietto, un disegno davvero piccolo su un foglio di carta che sarà stato 2×4cm: questo cappello di vetro con un treppiedi, tanto per far capire l’idea di associare vetro e fusione, e allora la fusione di alluminio era un argomento molto contemporaneo, nuovo.
Quindi l’idea di questo piccolo treppiedi con la fusione e il vetro esprimeva, più che il disegno di una lampada, un concetto più generale: “come mettere insieme due elementi che fossero la caratteristica dei prodotti futuri dell’azienda”. Questa fu, in pratica, l’intuizione.

 

Un momento che ricorda più di altri quando si parla di Lumiere (un colloquio con la committenza, una prova in azienda, il primo prototipo).

Beh, sicuramente il momento in cui Alessandro Vecchiato e Carlo Urbinati dimostrarono attenzione per il mio schizzo, per l’intuizione. Ricordo che Sandro diede un occhio al disegno e disse: “Bella, dovremmo farla”. In quello schizzo è stato subito intravisto il prodotto. E anch’io pensavo che quel disegno potesse diventare un prodotto vero e proprio. Da lì è nata Lumiere.

 

Viviamo in una società “brucia&getta”. Cosa si prova ad avere progettato un successo che dura da 25 anni?

Erano decisamente momenti differenti. Prima, quando si progettava, le considerazioni che le aziende facevano erano anche in termini di investimento, e di ammortamento nel tempo dell’investimento. Quindi le cose che si disegnavano erano più ponderate.
Adesso non è che siano cambiate le aziende, è cambiato il mercato, è cambiato l’atteggiamento delconsumatore, che è diventato più “volubile”. Il consumatore di oggi è abituato da altri settori merceologici (vedi moda e tecnologia) a non desiderare cose “durature”. Quindi anche le aspettative che le aziende hanno nei confronti del prodotto sono sicuramente più brevi. Quando succede che un prodotto (come Lumiere) vive per così tanto tempo in termini di vendibilità, vuol dire che è autosufficiente. Si tratta cioè di un prodotto che non ha badato necessariamente alle tendenze, al momento. E proprio per questo, in qualche modo, attira. E stimola piacere. Sia in chi l’acquista sia in chi l’ha progettato.
Personalmente mi fa piacere che Lumiere sia un “segno” che ha ancora una sua riconoscibilità e una sua attrattiva!

 

In che modo questo contesto ha “lasciato il segno”, se lo ha fatto, sulla pelle e nella mente di Rodolfo Dordoni, uomo e architetto?

Penso a due momenti importanti che hanno segnato il mio lavoro. Il primo è l’incontro con Giulio Cappellini, che è stato mio compagno di Università. In seguito, sono stato io suo compagno di lavoro, nel senso che una volta finita l’Università mi ha chiesto di lavorare in azienda con lui. Grazie a questo incontro ho potuto conoscere il mondo del design “da dentro”. Per 10 anni ho lavorato e conosciuto il settore dell’arredamento in tutti i suoi aspetti. La mia è quindi un’impostazione che conosce “nella pratica” tutta la filiera del prodotto design.
Questo porta direttamente al secondo dei miei momenti importanti.
Grazie a questa “pratica”, a questa mia conoscenza sul campo, quando le aziende si rivolgono a me sanno che non è solo un prodotto ciò che stanno chiedendo, ma un ragionamento. E spesso capita che questo ragionamento porti a costruire con le aziende dei rapporti che diventano lunghi confronti, lunghe conversazioni. Queste chiacchierate aiutano a conoscere l’azienda. E la conoscenza dell’azienda è una parte fondamentale nell’analisi del progetto. Mi piace lavorare, e in questo sono un po’ viziato, con persone con cui condivido una sorta di similitudine d’intenti e di obiettivi da raggiungere. Così si ha la possibilità di crescere insieme.

 

Anni ’90: “googlando” compaiono le Spice Girls, i Take That e il Jovanotti di “È qui la festa?”, ma anche “Nevermind” dei Nirvana e il brano degli Underworld che faceva da colonna sonora al fi lm Trainspotting, “Born Slippy”. Se pensa ai suoi anni ’90 cosa le viene in mente?

Gli anni Novanta sono stati per me l’inizio di una progressiva incomprensione tecnologica. Vale a dire che tutto quello che è successo dall’LP musicale in poi, tecnologicamente parlando, io ho cominciato a non capirlo più. Mi sono ritrovato spesso a pensare che, quando ero ragazzo, criticavo spesso mio padre che consideravo tecnologicamente inadeguato. Bene, il suo essere inadeguato rispetto a me era minimo, se penso alla mia “inadeguatezza tecnologica” rispetto ai miei nipoti, per esempio. Diciamo che negli anni Novanta ha avuto inizio il mio “isolamento tecnologico”!

 

Cos’è rimasto immutato per Rodolfo Dordoni progettista?

Il disegno. Lo schizzo. Il tratto.

La collezione d’autore ‘The Light Bulb Series’ nata dalla collaborazione tra Foscarini e James Wines / SITE è protagonista dell’installazione “REVERSE ROOM”, presentata in occasione della Milano Design Week 2018 presso Foscarini Spazio Brera: una “black box” capovolta ed inclinata che ribalta la percezione dello spazio e mette in discussione la nostra risposta all’ambiente e alle convenzioni.

Composta da alcuni pezzi attentamente selezionati, a tiratura limitata e numerata, “The Light Bulb Series” è una collezione d’autore, preziosa per la storia che racconta e il pensiero che veicola. Parte da una riflessione sulla lampadina come archetipo, con la sua tipica forma a bulbo, nata dalla funzione e condizionata dalla tecnologia disponibile all’epoca, ma rimasta tale nei decenni, nonostante l’evoluzione tecnica consenta oggi di adottare qualsiasi forma si desideri.
Wines declina questa riflessione con esplorazioni che si muovono intorno ai temi principali che hanno guidato la sua ricerca architettonica, basata sulla risposta all’ambiente circostante e ad un’azione su di esso. Sono l’inversione, lo scioglimento, la natura, tutti quegli stati di “difetto architettonico” che consentono di ripensare la realtà, dandole forma e dissolvendone, allo stesso tempo, i confini.

Tutti i pezzi che compongono la serie sono presentati presso Foscarini Spazio Brera in “Reverse Room”, una speciale installazione firmata dallo stesso James Wines con la figlia Susan Wines, progettata per sottolineare le caratteristiche di surreale inversione di queste variazioni sul tema. In una stanza dalle pareti scure, capovolta ed inclinata, con tavoli e sedie monocolore, le lampade a sospensione sbucano dal pavimento mentre quelle da tavolo occhieggiano dal soffitto, rimettendo in discussione la nostra percezione degli spazi e la nostra risposta agli stimoli ambientali e alle convenzioni.

“Questa serie nasce dall’idea di stravolgere il design classico delle lampadine a incandescenza, un’idea che propone una riflessione critica sulle forme per nulla iconiche delle moderne lampade a LED. Il concept, realizzato da Foscarini, nasce da un lavoro sulla spontanea identificazione da parte delle persone con forme e funzioni di oggetti comuni. In questo caso, le lampadine si fondono, evolvono, si crepano, si infrangono, si fulminano, ribaltando così qualsiasi aspettativa.”

JAMES WINES
/ ARCHITETTO E DESIGNER

La storia della collaborazione tra Foscarini e James Wines si snoda nell’arco di quasi una trentina d’anni, attraverso alcune tappe significative, in una naturale convergenza delle rispettive poetiche. Le radici di questo rapporto risalgono al 1991, con “Table Light / Wall light”, la prima opera realizzata da Foscarini con il gruppo SITE di Wines per le aree culturali della mostra veronese “Abitare il tempo”, in quegli anni curate da Marva Griffin. Diversi anni dopo, le strade di Foscarini e di SITE si incrociano di nuovo grazie ad un ampio articolo monografico su Inventario (rivista-libro diretta da Beppe Finessi, promossa e sostenuta da Foscarini), scritto da Michele Calzavara e dedicato ai lavori del gruppo. Nasce da qui la volontà di Foscarini di riprendere il progetto, trasformandolo in una collezione in piccola serie, fatta di lampade e oggetti.

“È sempre un privilegio, per un’azienda incentrata sul progetto, incrociare la propria storia con il percorso concettuale e artistico di creativi che le sono intrinsecamente affini. È questo il caso di Foscarini e James Wines.”

CARLO URBINATI
/ PRESIDENTE FOSCARINI

“The Light Bulb Series” è una collezione d’autore che nasce da una riflessione sulla lampadina come archetipo, con la sua tipica forma a bulbo, declinata in una serie di sorprendenti provocazioni.

“Un’idea che propone una riflessione critica sulle forme per nulla iconiche delle moderne lampade a LED”. James Wines declina questa riflessione muovendosi intorno ai temi principali che hanno guidato la sua ricerca architettonica. Sono l’inversione, lo scioglimento, la natura, tutti quegli stati di “difetto architettonico” che consentono di ripensare la realtà, dandole forma e dissolvendone, allo stesso tempo, i confini. Una tensione verso la sperimentazione, il fare meglio ma anche fare diversamente, che anima da sempre anche Foscarini.

Composta da alcuni pezzi attentamente selezionati, a tiratura limitata e numerata, “The Light Bulb Series” comprende cinque differenti declinazioni dell’icona rappresentata dalla lampadina. È accompagnata da una monografia dedicata al lavoro dello studio SITE che ci invita a pensare un mondo del progetto e quindi del possibile, in cui è sempre immaginabile fare luce in un altro modo.

/ Black Light
Un portalampada che emana luce, mentre la lampadina rimane nera e “buia”: un’inversione pura delle funzioni e delle parti.

/ Candle Light
Candela su lampadina: un cortocircuito tra modi ed effetti diversi di fare luce, due storie illuminotecniche alla fiamma e al tungsteno che si fondono insieme e formano un nuovo oggetto ambiguo e paradossale.

/ Melting Light
Come durante una fusione, un bulbo è immortalato in un fotogramma intermedio tra forma e liquefazione, rimane sospeso in uno stato transitorio, diventa l’icona evanescente di un fantasma.

/ Plant Light
Un bulbo invaso dalla natura, ciottoli e terra, può scomparire come lampada e trasformarsi in terrario, oppure in bulbo-vaso per la pianta che lo colonizza.

/ White Light
È la matrice, l’icona di base ancora intatta di un oggetto diventato archetipo dell’illuminazione.

Tutti i pezzi che compongono la serie sono presentati da Foscarini in “Reverse Room”, una speciale installazione itinerante firmata dallo stesso James Wines con la figlia Susan Wines, progettata per sottolineare le caratteristiche di surreale inversione di queste variazioni sul tema.

Scopri di più sull’installazione Reverse Room

Choose Your Country or Region

Europe

Americas

Asia

Africa

This site is registered on wpml.org as a development site. Switch to a production site key to remove this banner.