La forma dell’idea: Peter Grundy interpreta Foscarini per What’s in a lamp?

Con il suo stile inconfondibile, fatto di forme essenziali e cromie decise, Peter Grundy trasforma, per il progetto editoriale What’s in a lamp?, le lampade Foscarini in archetipi visivi dei concetti che definiscono l’identità del brand. Un esercizio di sintesi e visione che ci invita a guardare la luce non solo come fonte, ma come significato.
Peter Grundy ha costruito una carriera all’insegna dell’essenzialità ed è tra i pionieri dell’infografica concettuale. Dalla fondazione dello studio Grundy & Northedge nel 1980 fino ai progetti più recenti firmati come Grundini, ha scelto di lavorare con l’informazione più che con la pubblicità, dedicandosi a tradurre concetti complessi in immagini chiare, accessibili, universali. Il suo è un linguaggio grafico geometrico e narrativo fatto di equilibrio, misura, riduzione: un codice visivo riconoscibile e distintivo, al servizio dell’idea prima ancora che dell’immagine.
Per What’s in a lamp?, Grundy ha scelto di raccontare Foscarini attraverso sei lampade, sei valori, sei visioni: Lumiere parla di internazionalità, intesa come apertura e capacità del design Foscarini di dialogare con culture diverse, ognuna con il proprio modo di vivere la luce; Chouchin esplora il senso di casa come rifugio e spazio personale; Buds incarna lo spirito d’avanguardia e la tensione al futuro; Binic celebra la libertà creativa; Satellight racconta l’umanità degli oggetti luminosi e la loro capacità di generare legami emotivi; Kurage rende omaggio alla maestria artigianale, armonia tra mente, mano e materia.
Sei illustrazioni, ciascuna costruita sulla silhouette della lampada, animate da un sistema di simboli e icone che traducono visivamente ogni concetto valoriale. Ogni immagine di questo ciclo narrativo silenzioso è un sistema chiuso, denso ed eloquente.
“Il mio obiettivo era raccontare una storia per ogni illustrazione che riflettesse la filosofia e la personalità di Foscarini. Le lampade sono disegnate in modo semplice, popolate da iconografie che rappresentano i valori e creano energia visiva.”
PETER GRUNDY
/ ARTISTA
C’è qualcosa di profondamente filosofico nel modo in cui Peter Grundy guarda alla forma. Le sue immagini, ridotte all’essenziale, sono come ideogrammi contemporanei. In un’epoca satura di stimoli visivi, Grundy ci ricorda che sottrarre può essere più radicale che aggiungere. E che una lampada non è soltanto un oggetto che illumina: può essere una metafora. Di identità, di casa, di libertà. Di visione.
Segui Foscarini su Instagram il per scoprire l’intero progetto What’s in a lamp? e leggi l’intervista completa per approfondire la visione e l’approccio artistico di Peter Grundy.

Raccontaci brevemente il tuo percorso. Come sei arrivato a fare ciò che fai oggi?
Nel 1980 io e Tilly Northedge abbiamo fondato uno studio per esplorare il design dell’informazione in modo nuovo, immaginifico e personale. Primo, perché nessun altro lo faceva. Secondo, perché già al Royal College of Art, due anni prima, avevamo iniziato a interessarci a un tipo di design più orientato a spiegare le cose che a venderle. Nei 26 anni successivi, come Grundy & Northedge, abbiamo ridefinito quello che oggi viene chiamato infografica.
La rivista Graphis scrisse: “Nel mondo del design, comunicare informazioni non ha mai goduto del fascino riservato ad altri ambiti più scenografici. Disegnare un manifesto può trasformare un designer in un artista, creare l’identità visiva di una multinazionale lo consacra a stratega. Ma chi si occupa di progettare mappe per un quartiere residenziale, o istruzioni per annodare un papillon?”. La risposta eravamo noi: Peter Grundy e Tilly Northedge.
Nel 2006 ho fondato Grundini per concentrarmi su progetti più piccoli, guidati dalla creatività, collaborando con altri designer e agenzie. Angela Wilkinson, ex collega a Scenario, ha scritto: “Oggi Peter Grundy, alias Grundini, affronta il caos contemporaneo progettando architetture del futuro semplici, condivise e accessibili”.
Chi sono le figure chiave (designer, artisti, illustratori) che hanno influenzato la tua formazione visiva e creativa?
Benno Zehnder, che mi ha insegnato lo stile svizzero quando frequentavo la Bath Academy of Art tra il 1973 e il 1976. E Lou Klien, che mi ha introdotto allo spirito americano al Royal College of Art, dal 1976 al 1979.
Hai spesso detto che il tuo stile nasce dalla necessità e dalla semplicità. Cosa significa per te “economia visiva” e quanto è centrale nel tuo lavoro oggi?
Abbiamo creato uno stile di disegno nel 1980 per comunicare le nostre idee, partendo dai metodi geometrici che avevamo appreso per progettare simboli, marchi e lettere. Nel tempo lo stile si è evoluto, ma il principio è rimasto lo stesso: comunicare idee in modo semplice e universale, senza bisogno di parole.
Raccontaci il concept della tua serie per What’s in a lamp?. Quale storia volevi raccontare partendo dalle silhouette delle iconiche lampade Foscarini?
Mi interessava raccontare una storia precisa per ogni lampada, capace di riflettere i valori di Foscarini. I temi su cui ci siamo concentrati sono: internazionalità, casa, avanguardia, artigianalità, libertà e umanità.
Qual è stato il valore più difficile da tradurre in linguaggio visivo?
Avanguardia.
E quale invece ha risuonato di più con la tua visione? Quello che ti ha ispirato di più?
Avanguardia, senza dubbio. Cosa c’è di più stimolante di una visione del futuro? La mia idea era una lampada come sistema solare, con il pianeta Terra al centro e il futuro che le orbita intorno.
Lavori con immagini statiche, ma capaci di raccontare una storia. Cosa rende forte una narrazione visiva senza movimento nè parole?
Il cuore di ogni progetto è l’idea. Viene prima di qualsiasi immagine, simbolo o animazione. Tempo fa ho realizzato un diagramma per spiegare il mio approccio: mostra un iceberg, dove la punta è l’immagine, ma la parte più grande, quella sommersa, è l’idea.
Come scegli simboli o icone quando trasformi concetti complessi in immagini? Segui un metodo preciso o ti affidi più all’istinto?
Invento icone e simboli che raccontano una storia in modo efficace ed elegante, un po’ come si fa con un linguaggio scritto.
Come affronti la scelta dei colori? È più una questione estetica o usi il colore come linguaggio per trasmettere significati?
Il colore ha due funzioni: segnalare e rendere le cose belle. Lo scelgo in modo istintivo. Spesso combinazioni che a prima vista sembrano dissonanti, come rosa e arancione o marrone e grigio, funzionano benissimo se usate nelle giuste proporzioni. L’ho imparato lavorando con gli architetti.
Le infografiche sono nate per semplificare. Le vedi ancora come uno strumento funzionale o come una forma d’arte?
Quando ho iniziato, nel 1980, nessuno faceva infografica in modo creativo. Al Royal College of Art, alla fine degli anni ’70, abbiamo visto un’opportunità. All’epoca la maggior parte dei designer si occupava di pubblicità, branding, packaging – gli ambiti più “glamour”. Con Tilly Northedge abbiamo fondato Grundy & Northedge con l’idea di fare informazione con la stessa creatività della pubblicità. Raccontavamo storie e spiegavamo concetti complessi usando arte e idee.
Qual è il consiglio più utile che hai ricevuto nella tua carriera? E quello che ti ha davvero fatto riflettere?
C’è solo una cosa peggiore dell’essere scarsi: essere mediocri.
Cosa significa per te creatività?
Libertà di esprimere la propria individualità.
Scopri di più sulla collaborazione con Peter Grundy e la serie completa sul canale Instagram @foscarinilamps, ed esplora tutte le opere del progetto What’s in a Lamp?, dove artisti internazionali sono chiamati a interpretare la luce e le lampade Foscarini.